LA MIA INFANZIA



L'INCANTO DELLA MIA VITA

 

Una miriade di pensieri, voci, immagini e ricordi, affolla disordinatamente la mia testa. Mi scrollo di dosso tutto, come fosse un cappotto bagnato dalla pioggia o dalla neve e... lascio il posto al primo ricordo che prepotentemente raggiunge la luce, la serenità, la gioia, la pienezza. La casa dei miei nonni, Domenico e Angela, situata al centro del paese, S. Stefano, a due passi dalla piazzetta della Chiesa. Eh sì! Ho avuto il privilegio di nascere in casa, nella calda, accogliente, umile e sicura casa dei miei nonni. La zia Antonina mi narrava sempre la mia venuta al mondo. Una bambina ben nutrita, come una luna piena, con le proporzioni generose... in seguito immaginavo di essere uscita da un quadro di Botèro.

Nella casa c'era posto per tutti, per me, Maria mia sorella, mamma, i nonni; papà, zia Dora, zio Antonio quando tornavamo da Roma. È vero, c'era posto per tutti. La porta sempre  aperta, per accogliere, "Favorisca" durante i pasti, per offrire gratuitamente ascolto e aiuto. Eravamo in armonia, senza grandi problemi, si viveva sereni e tutto ciò allora bastava. Una grande stufa a legna sostituiva il camino, cuoceva le barbabietole e le patate per gli animali, riscaldava la casa e il mio piccolo cuore di bambina attenta. La finestra della cucina dava proprio sulla via principale, Via dei Marsi. Da lì, ogni scena di vita quotidiana potevo vedere e sentire tanto da scriverci un libro. Dal saluto dei paesani, al mattino e alla sera, al passaggio rumoroso degli animali, mucche, pecore, capre, cavalli, tutte le belle abitudini di una convivenza civile e pacifica ormai dimenticata nel tempo.

I ricordi? Tanti tanti. Capitava spesso la sera che entravano in cucina i paesani contadini per mettersi d'accordo per andare a mietere, a zappare o vendemmiare il giorno successivo, per andare incontro al vicino di casa, impossibilitato da una febbre o da altri problemi. La solidarietà era cosa di ogni giorno.

La mamma era molto laboriosa, ora in campagna con il nonno, ora con gli animali da custodire, ora con i panni da lavare a mano; ricordo le lenzuola così pesanti e infine bianche e profumate, lei e la nonna facevano il sapone fatto in casa. Il tempo più bello lo dedicava a me e a Maria; il bagno nella cucina, gli asciugamani caldi, il borotalco, le coccole. Stirava i nostri vestitini con il ferro a carbone, che andava a prendere con la paletta dalla vicina di casa, passava il bianchetto sulle scarpe, le sue bambine erano sempre pulite e profumate.

La nonna preparava da mangiare per tutti, il sapore delle patate lessate, riscaldate con la cipolla, non lo dimenticherò mai. Si prendeva cura di me e Maria con una dedizione encomiabile e con la pazienza proverbiale di Giobbe. Ricordo che ci faceva ammassare

con farina e acqua, mentre lei stessa preparava le famose "sagne". Vedo ancora il suo viso ovale, quel viso che un giorno ispirò un pittore di passaggio.

Molto spesso diventava infermiera, sapeva fare le iniezioni, assisteva le donne partorienti, aveva parole buone per tutti. In seguito mamma mi disse che aveva ricevuto un miracolo dalla Madonna. La nonna era una santa donna!

Il mio papà, Angelo, tornava da Roma con la valigia sempre piena di sorprese e, con Ia sua innata allegria, facevamo una gran festa. Mangiavamo persino in camera da pranzo. Mamma e nonna cucinavano ancora meglio, fettuccine, coniglio, facevano anche la crema, la famosa "zuppa inglese". Finalmente la famiglia si riuniva. Il tempo che papà trascorreva con noi era breve ma di gran valore. Voleva sapere della scuola, la storia, i re di Roma, le tabelline a memoria. Improvvisava favole, storie bellissime da far contento anche Rodari. Di solito le raccontava in cucina, mentre mamma e nonna lavavano i piatti; ancora ricordo quella fragranza di sapone e arrosto di coniglio che si diffondeva nell'aria. Le storie le ambientava proprio nei posti più noti del paese: i "Fontacciuni", la "Cerqua", le "Visèi", ecc. Io e Maria, rimanevamo incantate dal suo modo di drammatizzarle, una contentezza indicibile ci prendeva. In seguito quella favole diventarono metafore di vita, quando papà ripartiva gli occhi si velavano di pianto, per non parlare della mamma, una profonda tristezza nasceva dalla dolcezza del suo sorriso forzato.

Grazie al cielo non restavamo sole, c'erano i nonni, la casa.

Il nonno, nonostante il duro lavoro nei campi, aveva tempo di recitare il rosario in un latino maccheronico che solo lui sapeva dire, aveva tempo di ascoltare in cucina la radio con le ultime notizie di Radio Sera. Era veramente convinto e devoto ai suoi ideali di democrazia e di libertà. Aveva partecipato alla guerra del '15 — '18, piccolo soldatino di diciassette anni, biondo con gli occhi azzurri, ci raccontava di come fosse riuscito a tenere il fronte da solo; per il suo coraggio ricevette un encomio solenne dal comandante e una medaglia d'oro gelosamente custodita sotto il letto, ma forse ancor più nel suo cuore.

Il rito del tè ogni sera significava che l'ora di andare a dormire era vicina e nonna per conciliare il sonno, intonava un'antica filastrocca — preghiera "A letto a letto me ne vo'". L'atmosfera era così magica che io e Maria rallentavamo il passo su quelle vecchie scale di legno, allungando così quel momento unico che ci separava dall'andare a dormire. La notte

arrivava presto, le ultime preghiere con la mamma, le lenzuola ruvide e profumate. Senza i ricordi mi sarebbe mancato quello che costituisce l'incanto della mia vita. Paese, casa, non vi ringrazierò mai abbastanza per ciò che mi avete donato.

 

Pia Di Berardino




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